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CENNI STORICI.

"Sospeso su un territorio selvaggio come nido d’aquila, il Castello di Gropparello (VIII-XIII sec.), colpisce i visitatori per il raggruppamento turrito del complesso monumentale, che durante la visita regala all’occhio un alternarsi di scorci panoramici scenograficamente diversi tra loro". 

 Nei documenti antichi, il Castello, compare come Rocca di Cagnano, è uno straordinario esempio di opera fortificatoria medioevale posta a difesa della via di accesso ad una valle, arroccato a nido d’aquila su un dirupo scosceso, perciò inattaccabile. Ancora oggi guardando le sue mura maestose dal basso dei camminamenti, ci si chiede con meraviglia quali uomini possano aver costruito una tale ingegnosa opera, che in questo territorio è unica. 

Molto probabilmente la Chiesa di Piacenza, che ne era in possesso nei secoli attorno al Mille, assoldò come spesso accadeva maestranze straniere, più pratiche di costruzione su roccia (forse normanni).

Il più antico documento finora conosciuto su Gropparello risale all’808, anno in cui secondo il vescovo di Piacenza Giuliano II si recò a dorso di mulo fino ad Aquisgrana per chiedere all’imperatore Carlo Magno, col quale era in amicizia, la concessione di un feudo che andavano da Sariano fino alla corte di Gusano, comprendendo quindi il castello di Cagnano, che risulta essere uno dei più antichi del territorio, e forse d’Italia. 

Studi recenti stanno dimostrando che il primo nucleo in pietra era già ben esteso intorno al 1200. Le sue buche pontaie, perfettamente conservate soprattutto nei lati sospesi sul vuoto dello strapiombo, possono ancora oggi indicarci quale fosse l’altezza dei muratori che costruirono queste mura.

 

Si ritiene che la fortificazione di epoca carolingia sia stata edificata su una preesistente costruzione romana, forse una semplice torre di guardia o un “castrum” del II secolo a.C. Sono a sostegno di questa ipotesi alcuni reperti interessanti rinvenuti nel XX secolo durante lavori di ristrutturazione.

 

All’epoca delle lotte tra Guelfi e Ghibellini il castello, ovviamente guelfo poiché era del vescovo, venne in diverse occasioni attaccato dalle forze ghibelline. Ancora nel 1400 la famiglia guelfa che ne era in possesso si ritirava a Gropparello per sfuggire agli attacchi delle forze viscontee, perché siccome il castello era stato dimora vescovile per molti secoli, i soldati lo attaccavano malvolentieri, sentendo quasi di commettere un sacrilegio.

Fu proprio alla fine del 1200 che Gropparello divenne una dimora privata della potente famiglia guelfa dei Fulgosio, per lascito dell’allora vescovo di Piacenza Filippo Fulgosio. Filippo era stato un vescovo molto longevo e potente, che aveva anche rivestito per due volte la carica di podestà della città di Piacenza. 

Senz’altro dotò la sua famiglia di diversi beni prima di morire nella città di Milano dove era in viaggio, ed essere infine sepolto a Sant’Eustorgio, dove ancora riposa.

All’epoca del ducato degli Sforza, che tennero anche, la famiglia Fulgosio fu espropriata del castello, o costretta a venderlo, in favore di Galluccio Campofregoso, alleato del duca Francesco. Ma questa signoria prepotentemente imposta non durò affatto, e ci furono diversi passaggi di proprietà per più di un secolo, fino ad arrivare alla fine del 1500.

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Nel 1599 Ranuccio I Farnese, signore di Parma e Piacenza, rientrato in possesso del feudo di Gropparello, ne investì con il titolo ereditario di “Conte di Gropparello” Marcantonio Anguissola, suo luogotenente e confidente, che ricopriva la carica di governatore della val di Taro e che aveva svolto diversi incarichi come ambasciatore per conto del Farnese, assieme al suocero Alessandro Anguissola, uno dei Magnifici della città di Piacenza. Non sappiamo molto di Marcantonio, ma doveva essere un uomo dalle doti eccezionali. Si distinse per incarichi prestigiosi e per una spiccata lealtà, che gli valse l’onore non solo del castello e del titolo comitale, ma anche del giglio farnesiano che solo gli Anguissola di Gropparello hanno avuto. 

Nel 1848, con la morte di Gaetano Anguissola si estinse questo ramo della famiglia. Il castello fu posto in vendita insieme ad altre proprietà, e passò un periodo di decadenza in cui viene anche utilizzato, come purtroppo spesso accadeva, come edificio rurale.

Venne fortunatamente acquistato nel 1869 dal conte Ludovico Marazzani Visconti Terzi, (appartenente ad un ramo della famiglia proprietaria di Grazzano Visconti), che incaricò un famoso architetto piacentino del tempo, Camillo Guidotti, di un completo restauro dell’antico edificio. Il conte Ludovico era un amante storia patria, cioè probabilmente un intellettuale romantico affascinato dagli ideali di bellezza e passione per la storia e per la natura indomita che si andava diffondendo in quell’ultimo quarto di secolo. Gropparello sposava i più fantastici sogni romantici, con le sue mura antiche e misteriose, i suoi giardini segreti, i suoi ponti levatoi miracolosamente tramandati, il dirupo selvaggio e vasto che apre uno scorcio sullo sconfinato orizzonte… E perfino vestigia antiche di popolazioni celtiche, tuttora visibili. 

In quest’epoca vennero recuperati i camminamenti di ronda che non più protetti dalle vecchie palizzate di legno lasciavano ora aperta la vista sul vertiginoso dirupo e sulla natura tempestosa. Ancora oggi percorrendo le due ore di camminamenti e passeggiate, si incontrano panchine di pietra poste in angoletti accuratamente scelti, che hanno il potere di riconnettere la mente e il corpo con le energie ancestrali della natura, se solo ci si sofferma a contemplare quello spettacolo. Davvero non sorprende che questo piccolo e fiero castello abbia visto passare casate fra le più nobili. Forse le sue sale non avevano le dimensioni delle regge, ma di sicuro l’intima atmosfera dei suoi luoghi e lo spettacolo così travolgente che si gode da ogni prospettiva lo rendono il sogno segreto e privato che molti nobili, comprese le regine più potenti della storia, cercarono di creare per se stesse. L’Hermitage di Caterina, Canossa per Matilde, Le Petit Trianon per Maria Antonietta… Tutte desideravano uno spazio privato in cui essere sole, e sognare… Collezionando fiori, opere d’arte, creazioni uniche che comuni mortali non potevano nemmeno immaginare. Gropparello è molto più generoso però, e lo spettacolo dei suoi dirupi coperti di piante rare restava nascosto a chi arrivava da via, ma era ben visibile alla popolazione locale, che conosceva e amava profondamente il castello e ne ha tramandato i misteri e le leggende, come quella di Rosania Fulgosio. 

Con il ‘900 il castello passò ancora in mano a vari proprietari, e, dopo un breve periodo di abbandono durato circa 15 anni, venne acquistato nel 1994 dalla attuale famiglia proprietaria, che ne ha fatto subito la propria abitazione, promuovendovi anche numerose iniziative affinché tutti coloro che amano la storia e l’arte possano godere del fatto che un edificio di questa importanza e bellezza torni a vivere.

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La Collezione di Strumenti Musicali

Grazie all’ottima acustica dovuta al soffitto a volta, l’ambiente è attualmente adibito a sala da musica, particolarmente adatta per la musica da camera, e contiene alcuni strumenti di grande interesse sia dal punto di vista dell’antiquariato che da quello dell’organologia (cioè dello studio dell’evoluzione degli strumenti musicali)

Il pianoforte “gran coda” dalle linee raffinate ed eleganti, risale alla metà del secolo scorso (l’anno di costruzione, determinato in base al numero di matricola, è il 1847; è quindi particolarmente antico come pianoforte, visto che normalmente si considera antico un pianoforte della fine dell’ottocento); è stato costruito a Parigi da Pierre Erard (firma intarsiata all’interno del coperchio), uno dei più prestigiosi costruttori di pianoforti dell’epoca.

L’arpa risale, invece, alla prima metà del settecento (caratteristica la dimensione, un po’ inferiore rispetto a quella dell’arpa che conosciamo noi oggi, derivante dal più massiccio e sonoro strumento tardo ottocentesco). Da una perizia approfondita sembrerebbe che l’arpa possa essere stata costruita da Sebastian Erard.Lo strumento ad arco può essere definito come “violoncello popolare”.  E’ attribuibile all’area bresciano-cremonese e risale probabilmente agli inizi del XVII secolo.

E’ stato aperto alle visite anche lo Studiolo da Musica, una Sala da Musica “didattica” dedicata alla musica antica, all’interno della quale sono ospitati un clavicembalo italiano (copia Grimaldi 1697), un arciliuto a 10 cori (copia Matteo Sellas), 2 flauti barocchi diritti (1 soprano ed 1 tenore, copie di Stansby) , 

1 cromorno soprano ed un cromorno tenore (copie degli originali presenti al Museo di Norimberga), 1 bombarda contralto (copia museo di Norimberga), un liuto popolare a 6 cori, una viella popolare, un’arpa celtica (copia), un trombone barocco di Hass 1820 circa, una ghironda francese a liuto del 1750 circa con testina di donna intagliata, 2 tamburi in pelle d’asino di scuola bolognese, triangoli e percussioni varie, oltre a una piccola collezione di sonagli e fischietti popolari.

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Della collezione di strumenti presenti nello studiolo, fanno parte anche alcuni strumenti dell’ottocento: un violino e un violoncello di scuola francese del 1870 circa, un mandolino di scuola napoletana costruito da Lindberg a Firenze, un flauto traverso a 6 chiavi in legno di bosso di Majno di Milano; uno zitar ungherese del XVIII sec., un divertente piano a tavolo meccanico costruito a Vienna intorno al 1820: i piani a tavolo meccanici venivano costruiti su commissione, e servivano per allietare i salotti di conversazione delle famiglie nobili con “musica dal vivo” anche quando in casa non c’era un musicista; infatti la melodia viene creata azionando una manovella che mette in movimento dei rulli rotanti, i quali azionano attraverso delle spine metalliche i percussori che vanno a percuotere le corde vibranti.

Questa sala, oltre ad essere usata per  le attività didattiche con i bambini delle scuole elementari e medie, può essere anche usata come sala da studio o sala prove ad uso di piccoli gruppi musicali per la musica antica. 

All'interno della collezione c'è una piccola raccolta di corni, che ultimamente sono una delle nuove passioni di Rita: corni di bue di varie dimensioni, corno da postiglione in ottone, corno da caccia, cornetto da caccia alla volpe, corno tibetano da preghiera, realizzato con una grande conchiglia rifinita in argento e pietre dure.

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